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Studio britannico, Alzheimer: in 5 casi legame con ormone della crescita

Neurologia Redazione DottNet | 31/01/2024 15:04

A mettere in luce il collegamento con il farmaco non più usato e sviluppato da materiale prelevato dai cadaveri, è lo University College di Londra. Ma lo studio non suggerisce che forme di demenza possano essere contagiose

Segnali della malattia Alzheimer osservati in 5 persone nel Regno Unito che hanno ricevuto l’ormone della crescita, un farmaco oggi non più usato, nella loro vita e che oggi hanno sviluppato progressivi disturbi cognitivi compatibili con la malattia neurodegenerativa. Lo mette in luce uno studio pubblicato su 'Nature Medicine' realizzato dall'University College di Londra. I ricercatori precisano che lo studio "si basa su un numero limitato di persone e le pratiche mediche in oggetto - l'ormone della crescita appunto - non vengono più utilizzato" e quindi il lavoro "non suggerisce che forme di demenza come il morbo di Alzheimer possano essere contagiose". Infatti i risultati supportano un'ipotesi controversa "ovvero che le proteine legate all'Alzheimer possono essere 'seminate' nel cervello attraverso materiale prelevato dai cadaveri, infatti l'ormone sotto accusa era estratto dalle ghiandole pituitarie di individui deceduti", si legge nella ricerca.

Lo studio

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In uno studio del 2018, il team di ricercatori aveva scoperto che il preparato ormonale sotto accusa conteneva proteine beta-amiloide e, quando il preparato veniva iniettato nei topi, portava allo sviluppo di placche amiloidi e causava l'angiopatia amiloide cerebrale negli animali. Ciò ha portato il team a chiedersi se i preparati ormonali 'contaminati' potevano aver portato anche le persone che li hanno ricevuti a sviluppare la malattia di Alzheimer, in cui si ritiene che le placche amiloidi nel tessuto cerebrale causino la perdita di neuroni e di tessuto cerebrale. In quest'ultimo studio, i ricercatori hanno scoperto che 5 persone su 8 che avevano ricevuto il trattamento ormonale durante l’infanzia hanno sviluppato segni di demenza ad esordio precoce più tardi nella vita, tra i 38 e i 55 anni. "Due sono morti durante lo studio. Delle restanti tre persone, una presentava sintomi di lieve deterioramento cognitivo, un'altra presentava possibili sintomi di neurodegenerazione e una non mostrava sintomi comportamentali dell'Alzheimer", precisa la ricerca.

"Oggi dal punto di vista della salute pubblica non è necessario preoccuparsi della demenza 'trasmissibile' perché questo trattamento ormonale non esiste più", chiariscono i ricercatori che però si augurano che "molti altri scienziati ora cercheranno ulteriori prove per esplorare l'ipotesi dell''Alzheimer trasmissibile'".

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